CELI5 (Livello 5) - Sessione di Giugno 2003 + chiave, 2003 celi

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Giugno 2003
CELI 5
UNIVERSITÀ PER STRANIERI
PERUGIA

fascicolo
CELI 5
CERTIFICATO DI CONOSCENZA DELLA
LINGUA ITALIANA
LIVELLO 5
PROVA DI COMPRENSIONE DI TESTI SCRITTI
(
Punteggio della prova: 40 punti
)
PROVA DI PRODUZIONE DI TESTI SCRITTI
(
Punteggio della prova: 60 punti
)
Tempo:
2 ore e 45 minuti
Cognome
Nome
Sede d’esame
Città
____________________________________________
________________________________
F
Seguire esattamente le indicazioni fornite
?
Scrivere in modo chiaro e leggibile con la penna e non con la matita
Timbro dell’Istituto
(Il presente fascicolo potrà essere utilizzato a fini di ricerca garantendo l’anonimato di chi si è sottoposto alla prova)
Prova di comprensione di testi scritti CELI 5 – giugno 2003
PARTE A
PROVA DI COMPRENSIONE DI TESTI SCRITTI
A.1
Leggere i testi. Indicare con la lettera A, B, C o D corrispondente all’affermazione
corretta fra le quattro proposte.
1° testo
UN MITO DEL CALCIO: GIAMPIERO COMBI
Combi appese le scarpe al chiodo nel 1934, dopo che la Juventus aveva vinto il quarto di quei cinque
scudetti consecutivi che sono ormai retaggio della storia del calcio italiano. Passò la mano ancora nel pieno
dei suoi mezzi, perché voleva lasciare da vincitore, senza provare la tristezza dei giorni meno chiari che
sarebbero inevitabilmente venuti col declino fisico. Che Combi avesse ancora energie da spendere quando
lasciò il posto a Vavassori, è storia nota. In quell’estate del 1934 erano di scena i Mondiali che si giocavano
in Italia. Il portiere designato, Ceresoli, ebbe però la sventura di rompersi un braccio in allenamento e
Vittorio Pozzo, il mitico allenatore di quel felice periodo calc istico, ripescò Combi dalla naftalina e lo
convinse a giocare nuovamente. E se quei Mondiali li vincemmo fu anche merito del grande Combi.
Combi aveva cominciato nella Juventus nel 1923, a 21 anni. Torinese, non abbandonò mai la sua città e
la sua squadra, collezionando 350 presenze in maglia bianconera e 47 in maglia azzurra. Fu la punta estrema
del triangolo difensivo della Juventus e della Nazionale: tre uomini i cui nomi furono una specie di esaltante
“slogan” per i tifosi degli anni Trenta: Combi, Rosetta, Caligaris. Non bisogna dimenticare che si era in
pieno boom fascista e che le autorità politiche avevano impartito direttive alla stampa perché gonfiasse a
dovere le imprese sportive degli atleti italiani. Il nostro riscatto di “maccheroni” e di “mandolinisti”
cominciava sulle piste e sui campi di gioco. La Juventus di allora era grande e risalgono proprio a quegli anni
la popolarità e il seguito che la squadra ha ancora in tutta Italia. La vecchia Signora si identificava nella
Nazionale italiana che arrivò ad avere nelle sue file ben nove juventini; e così il tifo per il club si confondeva
con quello per gli azzurri e dilagava dal Piemonte al Veneto e dalle Romagne al passionale Mezzogiorno.
Combi era chiamato, quando frequentava il collegio di Pinerolo, “fusetta”, che in piemontese significa
“lampo”. Soprannome calzante. Combi, in porta, era una saetta. Non concesse nulla agli istrionismi, ma fu
giocatore essenziale e pulito, dalla prontezza di riflessi eccezionale, assolutamente a suo agio fra i pali e
ghepardo nelle uscite che affrontava senza calcoli né timori. Col risultato che si infortunò innumerevoli
volte, ripresentandosi però in campo non appena glielo consentivano quello stoicismo e quel coraggio che
facevano parte del bagaglio umano degli atleti di allora. Un po’ troppo caricati, un po’ troppo sciovinisti, ma
uomini veri.
Fra gli aneddoti preferiti da Combi c’era quello legato alla partita giocata a Milano, contro l’Ambrosiana
(era questo il vecchio nome dell’Inter) di Meazza. (Per la cronaca la Juventus vinse e conquistò lo scudetto
del 1932 con una giornata d’anticipo). In tribuna comparve Edoardo Agnelli che, finita la partita, confidò al
dirigente e pioniere della Juventus, il barone Mazzonis, che intendeva recarsi negli spogliatoi per
congratularsi personalmente con i giocatori. Era la prima volta che ciò avveniva e il barone, sentendo puzza
di bruciato, accompagnò il presidente che, dopo una trionfale accoglienza da parte dei giocatori, eluse la
sorveglianza di Mazzonis e bloccò Combi in un angolo. Velocemente gli fece scivolare in mano una busta,
spiegando che si trattava di un premio per la squadra. Era una sua iniziativa personale, per cui gradiva che la
cosa non giungesse alle orecchie del barone. Il che non si verificò. La domenica seguente si svolse a Torino
la cerimonia ufficiale dell’apoteosi. Quando, a fine partita, Mazzonis raggiunse gli spogliatoi comunicò ai
giocatori che la direzione assegnava ad ognuno un premio di 5000 lire per il conseguimento dello scudetto.
«Naturalmente ne riceverete solo 4000, poiché mille le avete già avute in anticipo, come acconto, dal signor
presidente». Stile piemontese: altri tempi, altri premi partita, altre maniere di pensare ed agire.
(da E. Fantini, supplemento di “Enigmistica Extra” n.4, s.d.)
Prova di comprensione di testi scritti CELI 5 – giugno 2003
1.
Combi decise di abbandonare la sua carriera nella Juventus
A
perché non voleva subire traumi al momento del suo distacco definitivo
B
in quanto gli avevano fatto capire che non era più all’altezza del suo ruolo
C
perché si sentiva appagato dagli scudetti conquistati fino a quel momento
D
in quanto voleva lasciare intatto il ricordo della sua fama e delle sue vittorie
2.
Combi fu convocato in Nazionale
A
quando ormai non pensava più che sarebbe tornato su un campo di calcio
B
grazie all’intercessione e alle pressioni dell’allenatore azzurro Pozzo
C
in quanto tutti avevano capito che le sue potenzialità erano ancora intatte
D
poiché si riteneva che senza di lui l’Italia non avrebbe vinto il mondiale
3.
La Nazionale di quegli anni
A
era particolarmente ambita ed agognata dai giocatori della grande Juventus
B
veniva considerata dalla stampa come la più grande nazionale mai esistita
C
era strumentalizzata per aumentare il consenso verso la classe dirigente
D
veniva particolarmente esaltata dalla stampa per volere delle autorità politiche
4.
Il portiere Combi
A
era rapido come un fulmine, soprattutto nel rilanciare i palloni
B
non si risparmiava mai, anche a costo della propria incolumità fisica
C
è paragonabile ai suoi colleghi attuali per la generosità profusa in campo
D
in campo assumeva movenze spettacolari per attirare l’attenzione
5.
La somma elargita da Agnelli dopo la partita contro l’Ambrosiana
A
rimase un segreto fra il presidente e i giocatori
B
venne detratta dal premio a fine campionato
C
venne ripartita solamente fra i giocatori più meritevoli
D
costituì il precedente di un sistema ancora oggi praticato
Prova di comprensione di testi scritti CELI 5 – giugno 2003
2° testo
Pinot Gallizio e l’internazionale situazionista
L’uomo che genialmente anticipò certe provocazioni artistiche
ALBA - Se fosse ancora vivo, oggi Pinot Gallizio avrebbe cent’anni. Quella faccia da zingaro che non
aveva quasi mai voltato lo sguardo da Alba se ne andò improvvisamente nel febbraio del 1964, alla vigilia di
una Biennale veneziana che lo avrebbe visto, pronosticarono i critici, tra i protagonisti dell’arte
contemporanea.
Ad Alba, negli anni Cinquanta, Gallizio era considerato un eccentrico. Uno spostato. Che affidamento
poteva mai dare, per la buona borghesia di provincia, uno che si era venduto la farmacia, che aveva
rinunciato alle solide attività commerciali della confetteria per infilarsi dentro il sogno della pittura astratta?
“Pinot è un pazzo”, dicevano. E poi cos’era quella storia di un gruppo di eccentrici, quanto e forse più di lui,
che calarono ad Alba dalla Francia, dalla Germania, dalla Danimarca per parlare di arte e di politica? Tra
loro c’erano Guy Debord, Gil Joseph Wolman, Asger Jorn. Venivano dalle provocazioni mentali più diverse:
dal movimento Cobra, dall’Internazionale lettrista, dalla rivista
Potlatch
, dal Movimento internazionale per
una
Bauhaus
immaginista. Sparavano a zero sull’arte, sull’urbanistica, sulla scienza, convinti che un
rimescolamento radicale fosse indispensabile, per una nuova definizione dei compiti che un artista era
chiamato a svolgere. Fu questo che Gallizio, per una certa fase, cercò di interpretare fondando, insieme alla
piccola compagnia di spostati, l’Internazionale Situazionista, di cui Debord sarebbe stato l’indiscusso e
carismatico leader.
Quello che segue è il ritratto che abbiamo raccolto dalla voce del figlio di Pinot, Giorgio Gallizio, che
fisicamente somiglia in modo impressionante al padre. Giorgio vive ad Alba nella grande casa laboratorio
dove il padre lavorò. È un signore un po’ taciturno ed ironico. Ecco la sua storia.
“Tutto iniziò negli anni Cinquanta. Alba è una cittadina tranquilla e prevedibile. Nel 1952, forse nel ’53,
vi arrivò Piero Simondo, un giovane critico, per tenere una conferenza su Klee e Kandinsky. Aveva i capelli
sulle spalle e questo fu sufficiente per scatenare le ire dei benpensanti e incuriosire mio padre che lo invitò a
casa a mangiare un boccone. Fu il cla ssico colpo di fulmine. Si parlarono a lungo e si capirono.
Mio padre non sapeva nulla di pittura. Era un chimico, poi un farmacista, infine un erborista e un enologo
di talento. Ma il mondo dell’arte gli era estraneo. Fu quello che Simondo gli spalancò. Me lo ricordo Pinot
che come un forsennato iniziò a dipingere. Sembrava il risveglio di un vulcano. Mia madre ed io eravamo
perplessi. Un uomo che produceva pece per i calzolai e le pastiglie Valda per i malati di gola che probabilità
aveva di diventare un vero artista?
Ecco cosa fu Pinot: uno scommettitore. Ricordo che fu lui ad organizzare ad Alba insieme a Jorn il primo
congresso mondiale degli artisti liberi. Era il 1956. Debord non ce la fece a venire, mandò Wolman in
rappresentanza. E Wolman, tornato a Parigi, riferì a Debord che Gallizio era un uomo interessante.
Guy Debord era fondamentalmente un rompiscatole. Neppure tanto simpatico, ma aveva un’intelligenza
acuta e devastante. Non era un critico, né un amatore d’arte. Lo colpirono le idee che mio padre nel
frattempo aveva maturato sull’arte. Pinot sosteneva che bisognava finirla con il feticcio del quadro e il
mercato dell’arte e tirò fuori l’idea di una pittura industriale fatta su degli enormi rotoli. Ciascuno, con un
paio di forbici, avrebbe potuto tagliarne uno o due metri portandoseli a casa. Era il modo più provocatorio
per inflazionare l’arte.
Per me Pinot Gallizio è stato un uomo travolgente. Scontrarsi con lui significava avere del coraggio. Ho
cercato di evitare il conflitto. Era convinto che suo figlio, cioè io, fosse un genio. Lo capisco. Da un padre
così non ti puoi aspettare che pensi che abbia messo al mondo una mezza cartuccia. Ho cercato in tutti i modi
di proteggere la mia mediocrità. Ho studiato, naturalmente farmacia, ho lavorato con vari galleristi, ho fatto
cinema. Ma tutto a livelli, come dire?, bassini. Al cinema ero l’aiuto regista di Lucio Fulci, mica di Bergman.
Dico questo perché alla fine ho sopportato bene la sua personalità e posso raccontare di lui perché non ho
cercato veri contatti e soprattutto non ho mai preteso di imitarlo. È il solo merito che mi riconosco.
A un certo punto Pinot fu espulso dall’Internazionale Situazionista. Fu messo fuori perché la pittura
cominciava a piacergli: dal gesto esterno passava lentamente a quello interno. Dall’ideologia all’anima. Tutto
precipitò quando ideò “La caverna dell’antimateria”, un’opera che Debord voleva fosse eseguita con
materiali di pittura industriale e che mio padre realizzò come pittura vera. Era un modo, secondo Debord e
Wolman, di rientrare nei ranghi della pittura più tradizionale.
Prova di comprensione di testi scritti CELI 5 – giugno 2003
Se ripenso a quello scontro, allo scambio di lettere, alle rigidità e alle sofferenze che quella frattura
produsse, mi dico che, tutto sommato, fu inevitabile. Troppo diversa la personalità di Debord da quella di
mio padre. Uno era l’ideologo intransigente, acuto e noioso al punto che perfino quando beveva un bicchiere
di barbaresco, si sentiva impegnato con il mondo intero. L’altro fu uno sperimentatore, un’alchimista
moderno, mentalmente incapace di rigidità”.
(da A.Gnoli, “La Repubblica”, 28 dicembre 2002)
6.
Pinot Gallizio
A
si atteggiava a provocatore della borghesia di Alba
B
vendette la farmacia per fondare un cenacolo di artisti
C
richiamò ad Alba un gruppo di artisti in sintonia con le sue idee
D
si propose di applicare le idee dell’astrattismo pittorico alla vita reale
7.
Piero Simondo
A
introdusse Pinot nel mondo dell’arte
B
consigliò a Pinot di lasciare la sua attività
C
insegnò a Pinot i segreti della pittura
D
mise in crisi i rapporti familiari di Pinot
8.
Giorgio Gallizio, il figlio di Pinot,
A
si è sentito condizionato dalle eccessive aspettative del genitore
B
ha provato invano ad emulare l’estro e la fantasia del padre
C
si è sentito schiacciato dal confronto con l’illustre genitore
D
è riuscito a convivere con l’ingombrante personalità del padre
9.
Pinot Gallizio
A
tagliava le sue tele dopo averle dipinte
B
disegnava feticci e idoli sulle sue tele
C
rivoluzionò l’idea di quadro come
totem
D
beveva troppo per essere un bravo pittore
10.
Pinot e Debord arrivarono al litigio poiché
A
l’istintività del primo mal si combinava con l’assolutismo del secondo
B
non erano d’accordo sui materiali da utilizzare nelle loro tele
C
Pinot aveva cominciato ad ignorare forme artistiche diverse dalla pittura
D
erano entrati in forte competizione a causa della loro produzione artistica
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